Città di vento e di macigno

Mondovagando propone di raccontarsi un po’, come blogger. Siamo sempre a raccontare di posti lontani, che è vero, sì, affascinano, sono ricchi di mistero, spingono alla curiosità, ma che vediamo sicuramente con gli occhi di dove siamo cresciuti. Vedere il mondo senza termini di paragone è complicato, è un lavoro da antropologo quello di annullare il proprio vissuto per comprendere usanze che ci sembrano altrimenti, appunto, fuori dal mondo (quel mondo che è il nostro), perciò per quanto ci sforziamo, mentre siamo in giro per scoprire paesaggi nuovi, identità estreme, culture opposte, ci sarà sempre qualcosa che ci farà sentire come a casa. E saranno quella piazzetta, quel bar, quel pittore per strada che niente hanno a che vedere con il luogo dal quale veniamo, che non somigliano a nulla di quello che ci siamo lasciati alle spalle, che ci faranno chiudere gli occhi, annusare l’aria e dire sussurando “qui potrei viverci”.panorama_volterra Succede praticamente in ogni viaggio, perché anche se la città ti ha fatto schifo e ti prometti di non tornarci mai più, ci sarà sempre stato un momento, un solo istante, quasi impercettibile, in cui un angolino di quel posto ti ha rassicurato, ti ha fatto sentire in pace, sereno. Come a casa. Tutto questo a me succede a Volterra, culla e nido della mia vita. Crescendo, il legame con il mio caro e vecchio “poggio” (sì, siamo in cima a una collina) si acuisce, si rinsalda sempre più, scopro scorci che mi erano sfuggiti, personalità che avevo trascurato, sensazioni che prima erano distanti da me. Più viaggio e più la amo. E non è perché alla fine come casa tua non c’è niente, no, ma perché guardando fuori da qui, quando torno, porto con me ogni volta del nuovo e la vedo con occhi, cuore e anima arricchiti.

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volterra piazza

Volterra è piccola, è sperduta, è un po’ burbera, ma mi dà tutto. Di inverno mi regala la giusta dose di inquietudine per riflettere, si svuota, diventa un luogo freddo e tenebroso, carico di mistero quanto basta per renderla affascinante ed è un peccato che i turisti se la perdano in questa veste, ma è anche vero che se ci fossero loro forse non sarebbe così. Cammini per strada e la meta ti sembra inarrivabile, il vento è gelido, costante e sa bene come infilarsi nel cappotto. Ti intorpidisce le mani, le guance e ti ritrovi in una gara di sopravvivenza. volterra.invernoE’ ciò che poi però ti fa adorare quel preciso istante in cui entri in una pizzeria, dal giornalaio, a casa e le labbra riprendono sensibilità e tu con loro. Poi però esci di nuovo e magari ti sorprende pure la neve, che prima infuria e poi, con delicatezza, si adatta alle forme delle bozze sulle strade e alla sinuosità delle colline che ci avvolgono.
A primavera Volterra mi regala il risveglio dall’oscurità, l’aria ancora punge, ma la luce ti passa attraverso, dopo aver accuratamente fatto brillare i campi e le mura. I primi visitatori timorosi e incerti sfidano il tempo volubile e la città esce dal letargo, pronta a ripartire per sé e per gli altri, come se si fosse conservata per non indebolirsi, come se di inverno si rinunciasse a viverla per poterla condividere poi più vigorosa con gli ospiti.
Ecco che mi concede dei panorami ispiratori e si fa musa delle mie idee, mentre le persone che arrivano sono sempre più. Ora finalmente posso sedermi al bar per strada e sentire la pluralità di lingue che commentano lo splendore che si trovano ad ammirare, posso mangiarmi un buon piatto di pappardelle e immaginarmi cosa provano loro che le assaporano per la prima volta, tanto che penso di essere io in viaggio.

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volterra medievale
La bella stagione  porta con sé persone e culture che  vengono a scoprire  questa enigmatica città etrusca fatta di tradizioni fortemente conservate, mestieri rari, ottimi cibi e curiose storie. Mi mischio a loro e me la godo dall’inizio alla fine,  evento per evento, festa per festa, gioia per gioia.  Volterra è la mia nave, sperduta in un mare di colline ondeggianti, solida e imprendibile,  ma pronta ad accogliere vagobondi da ogni dove e a portarmi lontana alla scoperta del mondo fuori da qui, così che mi sento un po’ come Novecento che “il mondo magari non l’aveva visto mai, ma erano quasi trent’anni che il mondo passava su quella nave. Ed erano quasi trent’anni che lui su quella nave lo spiava”.

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foto 1 e 5 di Flavia Gabellieri

5 pensieri su “Città di vento e di macigno

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